La prima è stata Trudi, un dalmata che ha salvato la vita
alla sua padrona scoprendo un melanoma di cui nessuno si era accorto.
Erano mesi che si ostinava ad annusare quel piccolo neo sulla gamba,
solo quello, anche attraverso i vestiti. Alla fine Gill Lacey, la
sua padrona, si è convinta, l'ha fatto controllare e ne ha
scoperto la natura maligna. Il tumore, in fase precoce, è stato
asportato, e non ci sono state conseguenze, come ha confermato la
stessa Trudi, cessando di fiutare quel punto della gamba.
Era il 1989 e la descrizione di questo episodio sulla rivista inglese
Lancet, fatta dal dermatologo londinese che ha curato Gill, ha dato
il via a una serie di segnalazioni analoghe. Nel 2001, per esempio,
è stato il turno di un labrador che ce l'aveva con un eczema
che affliggeva il suo padrone da 18 anni e che aveva iniziato a trasformarsi
in un tumore cutaneo. I nuovi casi hanno fatto scartare l'ipotesi,
avanzata in un primo momento a proposito di Gill, che potesse trattarsi
solo di una fortunata coincidenza.
Poi è arrivata la conferma scientifica: per scoprire una neoplasia
in fase precoce può essere d'aiuto il fiuto dei cani, da diecimila
a centomila volte più potente di quello degli umani e in grado
di riconoscere un composto chimico diluito in proporzioni di uno a
un trilione. L'ultimo studio, in ordine di tempo, sarà pubblicato
in marzo sulla rivista Integrative Cancer Therapies, ed è stato
condotto in California, dai ricercatori della Pine Street di San Anselmo
guidati da Michael McCulloch, in collaborazione con alcuni ricercatori
polacchi e con l'Institute for genetics and animal breeding statunitense.
Cinque cani sono stati addestrati, per tre settimane, a distinguere
campioni di fiato emesso da persone sane o da malati di cancro (al
polmone o al seno) e a sedersi slo di fronte a quello di questi ultimi.
Quindi si è passati alla fase sperimentale: gli animali sono
stati posti a confronto con 55 campioni di aria espirata da malati
di tumore polmonare, 31 fiale di donne con tumore al seno e con 83
provette con aria emessa da volontari sani. I malati non avevano ancora
assunto farmaci antitumorali, che avrebbero potuto conferire al fiato
odori specifici, e nessuno degli sperimentatori sapeva quale fiala
il cane stava annusando. Le prove sono state ripetute nove volte,
e alla fine il risultato è stato sorprendente: i cani hanno
reagito correttamente nel 90 per cento dei casi, e questo valore è
rimasto tale anche dopo che i dati sono stati corretti in base al
sesso, all'età, all'abitudine al fumo e così via.
Ma che cos'è che fiutano esattamente gli animali? Neppure gli
strumenti più sofisticati sono in grado di individuare ogni
componente di campioni biologici complessi come l'urina o il fiato,
ma è noto che le cellule tumorali contengono concentrazioni
particolarmente elevate di sostanze organiche come gli idrocarburi,
aromatici e non, o i composti azotati che, proprio perché in
proporzioni diverse rispetto a quelle presenti nei campioni di persone
sane, possono essere riconosciute dallo straordinario olfatto canino.
"Una volta che il metodo sarà ulteriormente confermato
e standardizzato" ha commentato McCulloch "potrebbe essere
impiegato per aiutare a ridurre i margini di incertezza nel caso che
gli esami sperimentali non diano un responso chiaro, specie se la
malattia è in fase molto iniziale".
I risultati della ricerca californiana confermano e rinforzano quelli
del primo studio del genere, effettuato dai ricercatori dell'Ospedale
di Amershan, in Gran Bretagna, in collaborazione con un'organizzazione
che educa i cani per i sordi, e pubblicato nel 2004 sul British Medical
Journal. In questo caso, sei cani di razze diverse erano stati in
grado, dopo un addestramento durato sette mesi, di distinguere l'urina
proveniente da 36 malati di tumore della vescica da quella di 108
volontari che avevano varie malattie non tumorali o che erano sani.
In realtà, ci hanno azzeccato "solo" nel 41 per cento
dei casi, un valore assai inferiore al 90 per cento dell'altra ricerca,
ma comunque molto superiore a quello che si otterrebbe se il risultato
non fosse dovuto al fiuto ma al caso, e cioè il 14 per cento
del totale.
L'esperimento ha fornito un'ulteriore, importante conferma: tutti
gli animali hanno riconosciuto più volte come appartenente
a un malato l'urina di un volontario che i medici classificato tra
i sani. Sottoposto a esami approfonditi, l'uomo ha scoperto di avere
un tumore renale in fase precoce. In futuro saremo dunque visitati
dai cani? Non è detto: "In realtà capire che cosa
sentono esattamente i cani ci aiuterà a migliorare anche i
nostri strumenti" spiega David Neal, chirurgo oncologo dell'Università
di Cambridge, in Gran Bretagna. Ecco perché sono già
partite nuove sperimentazioni, per esempio una che coinvolge malati
di tumore alla prostata. Dovrebbe essere conclusa entro la fine dell'anno,
ma i ricercatori di Cambridge già definiscono i risultati preliminari
molto incoraggianti...
Fonte:
Web